Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 237
ldquo;Quando, due volte al mese, il compatecipante all’aia, una specie di mezzadro, veniva in paese e, secondo l’uso, mangiava alla stessa tavola dei padroni, chi faceva le domande pertinenti e dava i consigli più sensati era sempre lei, Maria Giuseppa, che i servi più giovani, maschi e femmine, rispettavano e chiamavano zia. Quel pomeriggio, aveva mandato Giuanna ed Efisina a lavare al fiume, e lei si era chiusa nella «stanza della farina». Separava la crusca dal cruschello e dalla semola, facendo scorrere lo staccio sui lunghi staggi di castagno ben levigati. Lo riempiva di farina grezza con la paletta di legno, poi afferrava saldamente lo staccio con le sue mani forti e agili, lo attirava a sé, lo respingeva imprimendogli un moto rotatorio, e lo staccio, quasi animato di vita propria, appena sfiorato dalle sue dita che mantenevano attivo il movimento iniziale, andava avanti e indietro, frullava come una trottola con un trepestio ritmato e veloce, vuotandosi rapidamente. Quasi affascinata dal magico frullare e rimbalzare e da quel lavoro che sembrava farsi da sé, la dona silenziosa, pacata e saggia, ritrovandosi sola in quella stanza semibuia, lei vecchia ormai e avvezza solo alla vita e ai lavori casalinghi, si abbandonava al canto come una ragazza&rdquo
p. 238
Lei diceva papà, non babbo come gli altri, parendole più moderno e sopratutto più «signorile»
p. 238
laquo;Vado alla Scuola Militare di Modena».
p. 239
Tornarono dal fiume le ragazze, portando sulle ceste grandi mazzi di menta peperita e di timo, l’acuto profumo e il loro cicaleccio. […] Gli ammalati avevano mostrato un netto miglioramento, e un vecchio capraro gli aveva detto che l’invernata sembrava proprio buona: le capre figliavano ed erano gonfie di latte.
p. 239
Si versò da bere, sorseggiando lentamente il forte vino rosso leggermente amaro, poi guardò i figli a uno a uno e chiese se c’erano novità.