Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Desś
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Le misero il suo abito di nozze color tortora e la composero giù, nello studio di Don Francesco. Tra le mani incrociate sul petto, teneva il piccolo rosario di madreperla. Il giorno dopo ci furono i funerali. La bara bianca e leggera fu portata a spalla dai boscaioli.
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Nel tratto di strada che dalla chiesa porta al cimitero si levarono, a cantare l’Avemaria, le voci bianche e velate delle donne. […] Valentina era stata messa dentro la terra color tabacco che aveva accolto pochi mesi prima zio Raimondo Collu.
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Nel tratto di strada che dalla chiesa porta al cimitero si levarono, a cantare l’Avemaria, le voci bianche e velate delle donne.
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Fino a poco prima mezzo paese gli era sfilato davanti, aveva dovuto stringere centinaia di mani, ascoltare centinaia di volte la frase sempre uguale: «La rivedremo in paradiso», alla quale rispondeva mordendosi a sangue le labbra.
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La gente si era raccolta sul fiume e nei cortili delle case vicine, risalì il greto sassoso, sbucò dai vicoli e dai cancelli e cominciò a scorrere lenta per la discesa. […] Quella folla eterogenea e compatta offriva a Valentina l’ultimo tributo d’affetto; esprimeva la propria solidarietà alla disperazione di Angelo con un senso di silenziosa ribellione e di accorata protesta. […] Per questo il paese l’aveva pianta. Angelo aveva sentito negli altri il proprio dolore; poi tutto era finito come nella manifestazione esteriore di un rito.