Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 155
Angelo Uras sembrava la contraddizione vivente dell’idea che il maresciallo s’era fatta dei sardi, e questo lo spingeva a perseguitarlo, ora che l’occasione si era presentata; pregustando il piacere di fargli attraversare il paese con le manette ai polsi e di richiuderlo nel carcere locale, situato dietro il Palazzo arcivescovile
p. 156
Sapeva che i carabinieri erano appostati fra i cespugli di sambuco: la luna avrebbe potuto affacciarsi tra da un momento all’altro tra le nuvole.
p. 156
Lei era lì, rannicchiata, calda sotto le vesti, stretta nel suo scialle di lana rossa che lui riconosceva al tatto nel buio, come un cieco.
p. 156
Lui sapeva l’ora anche senza guardare il grosso orologio che si portava dietro, sempre preciso, sempre infallibile, caldo dello stesso calore del suo sangue, animato della stessa vita che, sul quadrante bianco diventa visibile, udibile, nel suo ticchettio &helli
pp. 157-158
Alla fine l’arciprete cedette. «E va bene!» disse con l’abituale malagrazia. «Se non lo arrestano in chiesa ai piedi dell’altare, io vi sposo la notte di Natale; ma tu devi dire quaranta pater e trecento avemaria, inginocchiata davanti alla statua di Sant’Agnese vergine e martire»