Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 143
ldquo;Disse che non credeva alla giustizia ma che bisognava giocare d’astuzia. «E poi,» aggiunse «non si sa mai quanto può durare l’istruttoria e il processo; e stare in prigione, innocenti o colpevoli, è duro. Se dài retta a me, cerchi di stare nascosto e non farti prendere»&rdquo
p. 144
Non incontrò nessuno lungo la strada che si spiegava ai piedi del Monte Homo e del Carmelo.
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ldquo;Prese la bisaccia, la borsa da caccia, il fucile e si avviò verso Norbio sotto la pioggia leggera che aveva ripreso a cadere con un lieve fruscìo. Seguendo il consiglio del vecchio, scelse la strada dei boschi meno frequentata e più breve. In certi punti erano ancora riconoscibili le orme di Zurito e Angelo, aggiustandosi ogni tanto sulla spalla il lembo del mantello d’orbace e la cinghia del fucile, sentiva la presenza di Valentina, come se lei lo precedesse o lo seguisse di volta in volta senza lasciarsi vedere ma senza mai perderlo d’occhio&rdquo
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Era zia Marietta Serra, una popolana che portava il nome aristocratico e antichissimo dei Giudici d’Arborea e che tutti rispettavano per la sua saggia bonomia e per quel nome arrivato a lei per vie misteriose.
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ldquo;Le antichissime mole che non hanno cambiato forma dal tempo dei nuragici, che sono quasi un simbolo dell’immutabilità delle forme in Parte d’Ispi, azionate dagli asinelli bendati che eternamente girano in tondo trasformando il grano in farina, chicco dopo chicco&rdquo