Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
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laquo;Lei parla per sentito dire e si fida troppo di quel suo protetto, di quel giovane bugiardo e poltrone che ogni tanto viene su per sparare ai colombi selvatici!».
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laquo;Come?!…» disse Ferraris fermandosi a sua volta e alzando la barba rossiccia.
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L’ingegnere tirava piccole boccate dalla pipa e lasciò che le parole aspre si dileguassero nell’aria assieme al fumo azzurrino, poi disse: «Io sono dalla parte della legge che, una volta tanto, coincide con la giustizia. Lei lo sa quanto me: solo non le fa comodo!».
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laquo;Non crederà davvero di fronteggiare una folla di pastori sardi col suo bastone o con la sua pistola» ridacchiò l’ingegnere. «Stia attento, per lei e per i suoi uomini, non provocate questa gente; e poi, non sono disposto a sopportare irregolarità, d’ora in avanti».
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Quell’anno, per la festa di Santa Barbara, patrona di Norbio, il Comitato promotore, oltre ai fuochi d’artificio, aveva organizzato anche le corse dei cavalli. Avrebbero avuto luogo nello stradone, che ora si chiamava via Roma per voto unanime del Consiglio comunitativo, dopo il trasferimento della capitale da Firenze alla «Città eterna». […] Dunque quell’anno, per la prima volta, le sei pariglie avrebbero corso per la via Roma, montate da tre cavalieri di Norbio e da tre di Ghilarza, paese di cavallerizzi famosi e di bei cavalli, oltre che di belle donne.