Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
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Zurito nitriva e batteva con lo zoccolo contro il cancelletto; la casa si era riempita di gente e c’erano anche tutti i Fulgheri, vecchi e giovani, dagli zii di Don Francesco, Giovannantonio e Fernanda più che nonagenari, agli ultimi nipoti, i figli del dottor Tommaso, Margherita, Carmela e Franceschino che pareva portassero sul petto lo stemma di famiglia e il don nobiliare, tanto stavano rigidi e impettiti in mezzo alla gente.
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Giunto in sagrestia, si strinse la testolina del bimbo contro il pancione e gli arruffò con le dita i capelli, poi prese posto in una sdruscita poltrona ricoperta di velluto rosso e con un cenno perentorio gli ordinò di inginocchiarsi sul duro inginocchiatoio di legno grezzo.
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Gli fece baciare la croce annerita della stola ricamata e alzò la mano.
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Gli fece baciare la croce annerita della stola ricamata e alzò la mano.
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La cassa fu portata a spalle, secondo l’uso, e nelle soste veniva posata su di un traballante tavolino e irrorata di acqua benedetta dal canonico Masala, che si era rassegnato ad accogliere il corpo del “grande peccatore” nel sacro recinto.