Milano, Mondadori, 1972
Paese d'ombre
Giuseppe Dessì
p. 7
Finalmente, quando il ragazzo apparve come la piccola silhouette nera di un dagherrotipo nel riquadro luminoso della porta, tornò a chinarsi sul foglio e ricominciò a scrivere con la lunga penna d’oca, che aveva appena affilato. La penna bianchissima, era Sofia, la madre di Angelo che gliela procurava, svettava sulla spalla destra tremolando e sfiorava i peli neri e lunghi della barba che formavano ai lati del viso bruno e segnato due folti favoriti, che egli continuava a portare benché non fossero più di moda.
p. 7
Il ragazzo tirò fuori dalla tasca la fetta di pane bianco, la spezzò, e lasciò che Zurito prendesse i pezzetti dal palmo della mano.
p. 8
Quasi ogni volta che il bambino andava da Don Francesco, Sofia mandava qualcosa: una primizia dell’orto o del frutteto, o un dolce, o una scodella di minestra calda fatta come piaceva al vecchio, o un tegame di migiurato o gioddu, una specie di yogurt molto in uso in Parte d’Ispi.
p. 8
ldquo;«Se aspettavamo te, stavamo freschi»
p. 9
Ogni volta che andavano insieme a Balanotti, l’avvocato faceva bere Zurito all’abbeveratoio di Lacuneddas.