Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
p. 829
Gli orticelli odoravano, con le loro umide aiuole di basilico e i rosmarini fioriti; dalle casette dei poveri salivano spire di fumo, voci vaghe di bambini lattanti; la vita pallida di ogni giorno s'acquetava intorno, si distendeva come una serva stanca che non ha sogni e non ha dolori.
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Il vento di primavera che portava il canto del cuculo e l'odore del grano nascente, passava da un finestrino all'altro, scuotendo le tele dei ragni negli angoli e i giunchi vuoti dei grappoli d'uva pendenti dalle travi.
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Saliva nella soffitta e dopo aver staccato un grappolo d'uva sedeva sul lettuccio della serva. Aveva sete ma non poteva bere; aveva sonno e non poteva dormire. Il vento di primavera che portava il canto del cuculo e l'odore del grano nascente, passava da un finestrino all'altro, scuotendo le tele dei ragni negli angoli e i giunchi vuoti dei grappoli d'uva pendenti dalle travi. Ella rabbrividiva. Le sembrava di aver le gambe pesanti, come da ragazzetta quando l'avevano costretta a calzare le scarpe alte nuove, e desiderava andare a piedi nudi, ritornare scalza, ritornare bambina. Poi sorrideva di se stessa, con rancore, deridendosi. Infine chinava la testa e s'incantava a guardare gli acini di uva che faceva scorrere come nacchere da una palma all'altra delle mani dimagrite.
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A volte, pensando alla sua avventura, aveva ancora l'impressione che tutto fosse stato un sogno: poi l'orgoglio, l'amore, il rimpianto, l'umiliazione di essersi illusa come una fanciulla di quindici anni, la facevano balzare e arrossire.
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Un silenzio indicibile rendeva più intensa la dolcezza del paesaggio; e se un toro muggiva o i cani abbaiavano parevano voci lontane di mostri, ripetute con meraviglia dall'eco; e tutte le cose intorno ascoltavano sorprese che oltre il lieve mormorio degli alberi al vento altre voci esistessero.