Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
p. 823
Egli la guardò dal basso, supplichevole, come dal fondo di un abisso, aspettando soccorso: ma gli occhi di lei erano lucidi, rossi come se avesse pianto sangue, e nel fissarlo scuoteva la testa e pareva dicesse: «Adesso è troppo tardi.»
p. 824
Andò a inginocchiarsi al posto ove usavano mettersi loro, e la sfera dorata, sopra l'altare del Sacramento, le ricordò la notte della Serra, l'albero che il canto dell'usignuolo faceva scintillare.
p. 824
Un giorno, in quaresima, indossò le sue vesti più belle: tra le falde scarlatte del giubboncino si intravedeva il velluto perlato del corsetto come il chicco della melagrana attraverso la buccia spaccata; i bottoni di filograna d'argento dondolavano dall'apertura delle maniche, ciascuno con una perla cilestre nella punta, come intinti nell'azzurro di quel cielo di marzo.
p. 824
Ma le belle fra le belle, le cinque fanciulle sole non venivano e Marianna, sola nel suo angolo riserbato alla gente in duolo, provava più che mai un senso di solitudine, di esilio dalla comunità delle altre donne.
p. 824
Le donne s'erano tutte sedute sul pavimento, immobili, ieratiche, coi loro costumi di scarlatto: la benda ingiallita con lo zafferano circondava i loro volti con una aureola d'oro.