Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
p. 793
Un attimo, e il lungo dolore e il lungo inverno cessarono: era ancora la notte della Serra, con la luna e il canto dell'usignuolo.
p. 793
Anche adesso, mentre la serva brontolava ancora qualche cosa che lei non ascoltava più, il passo si avvicinava. Era attutito dalla neve; ma lei lo distingueva egualmente, rapido, agile, sicuro come quello del muflone sulle montagne.
p. 793
Simone apparve, alto, nero, col cappuccio orlato di neve come il profilo di un monte; entrò risoluto, come un tempo, quasi tornasse dall'ovile o dalla messa di mezzanotte, e andò dritto in cucina.
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- Che cosa ti ho portato? Ecco che cosa, - egli disse subito, intimidito; e piegandosi sulle ginocchia trasse dalla tasca un involto umido di sangue.
- Non credere sia un porchetto rubato, oh! È un cinghialetto! [...] Il cinghialetto con la cotenna rossa, sventrato e ripieno di foglie di mirto, vi si distese; la bocca aperta, con le zanne lunghe sporgenti fra i dentini bianchi, pareva volesse mordere ancora con uno spasimo di dolore.
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- Siedi, Simone. Sei stato da tua madre?
- Sì, sono stato. Va sempre male, e le mie sorelle non volevano neppure lasciarmi entrare. Sì, sono stato, - aggiunse un po' timido e incerto, riprendendole una mano ch'ella tentava di non dargli, e nettandole fra il pollice e l'indice un dito ancora roseo di sangue.