Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
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L'ovile dietro lo stazzo, le mandrie di rami secchi, una tettoia simile a una palafitta con la mangiatoia di pietra, e il fochile per ferrare i cavalli, tutto dava l'idea d'una abitazione preistorica abbandonata dal tempo dei tempi.
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Girò dunque due volte attorno allo stazzo, in un cerchio sempre più stretto, procurando di non lasciar tracce dei suoi passi, come la volpe.
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Di qua tutto era triste nella desolazione della brughiera che si arrampicava fino alle falde delle collinette brune. Sulle alture sorgeva qualche stazzo: casette grigie o imbiancate con la calce, in mezzo a recinti di lentischio o di fichi d'India, silenziose e come abbandonate. Una di queste, fra due piccole valli rocciose sopra un ciglione rafforzato da muri a secco, bianca e dritta come un piccolo castello, era la casa del prete.
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Intorno al piazzaletto della casa l'erba cresceva alta, e sulle foglie azzurrognole dei fichi d'India già si aprivano i fiori d'oro.
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Erano arrivati ad una regione strana, melanconica; il mare era scomparso all'orizzonte e oltre la brughiera, a sinistra verso l'interno dell'isola, sorgeva una catena di colline nerastre dentellate come scogli, ma fra un dente e l'altro s'affacciavano cime azzurre di monti lontani che lasciavano dietro la muraglia scura un paese più vago e fresco.