Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
p. 786
Erano luci vaghe della sua coscienza, simili ai guizzi di chiarore che sfioravano il cielo sopra le montagne della costa e non erano lampi. Le ore passarono, il cielo si separò dal mare e le aquile stridettero svegliandosi.
p. 786
Dopo il tramonto giunsero verso il litorale, sotto le falde di un monte desolato, nero sul cielo rosso come un cumulo di carboni spenti. Un paesetto con le casupole grigie affondate in certe buche scure simili a cave di pietra abbandonate, con le strade coperte di polvere gialla, accresceva la desolazione del paesaggio. Più in là tutto cominciò a brillare nel crepuscolo: in fondo alla landa selvaggia del litorale, fra il giallo dorato delle dune e l'azzurro del mare, lunghe chiazze di acqua paludosa vibravano argentee e rosse al riflesso del cielo come enormi pesci guizzanti sulla sabbia. Fra le grandi rocce nere, forse scogli che il mare ritirandosi aveva lasciato scoperti, stridevano le aquile marine; e Simone giudicò bene fermarsi in una di queste fortezze solitarie dalle quali si dominava il mare e la terra.
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Simone si tolse il cappotto e lo sbatté di nuovo prima di ripiegarlo stretto: e gli uccelli volarono via dalle macchie attorno, scintillando nell'aria azzurra.
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Quando vide il sole sorgere dal mare si decise a rimettersi in cammino, solo: dopo tutto forse era meglio che la sorte lo avesse liberato del compagno: ma eccolo che ritorna, con un involto nero sotto il braccio, calmo come un servo che è stato a fare una commissione.
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E il cielo diventò rosso, e il mare parve tutto sparso di sangue dorato. Costantino non ricompariva e Simone dapprima s'irritò, poi cominciò ad inquietarsi.