Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
p. 769
Nessuno passava; in lontananza s'udiva solo qualche roteare di carro, qualche canto di gallo.
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Eccola, infatti, dopo aver rimesso in ordine le camere, seduta per terra, nella stanza terrena attigua alla cucina, a stacciare la farina d'orzo per il pane degli uomini dell'ovile.
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Il rumore dello staccio dà un senso di sonnolenza a Marianna seduta anche lei presso la finestra a cucire; il suo pensiero è lontano; invece delle canne e dei piccoli ciliegi dell'orticello i boschi della Serra e i monti azzurri le si stendono davanti; e la vita le pare un sogno.
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Marianna rientra, e dà un'occhiata all'opera della serva: la serva, a sua volta, ha sollevato il viso per sorvegliarla, e visto che il portone non è stato aperto e la padrona non è uscita di casa, continua la sua faccenda: senza il movimento delle braccia lunghe che agitano lo staccio entro il grande canestro d'asfodelo, parrebbe, coperta com'è di farina fino alla cuffia, una statua di pietra imbiancata da un poco di nevischio.
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Si alza di nuovo e va su nella sua camera, e apre la cassa e vede tutte le sue cose in ordine; ma il corsetto ben ripiegato con le maniche distese e i bottoni d'argento abbandonati uno su l'altro, e la tunica anch'essa ben distesa, coi gheroni riuniti, il nastro rosso in fondo, le dànno l'idea di una Marianna morta, distesa entro la bara pronta alla sepoltura.