Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
p. 759
Così tutto fu rosso, dopo l'argento dell'alba; poi tutto oro e azzurro; e il vento sbatté gli alberi contro il cielo; passarono le nuvolette bianche d'estate, i falchi e i nibbi; il sole fu in mezzo al cielo e la conca dell'acqua lo rifletté intero.
p. 759
Tentò di attardarsi tra le fronde di un elce, come in un rifugio; tosto però dovette scendere; si attaccò allo stelo più alto di un cespuglio e vi si sostenne un attimo ma già stanca e pallida; e d'un tratto si staccò anche dallo stelo e parve precipitare e infine sciogliersi come un fiore che si sfoglia.
p. 759
Vide il cielo schiarirsi, e fra i cespugli brillare lo specchio d'una conca dove si raccoglieva l'acqua di una sorgente, che dopo essere scesa con impeto dai macigni sopra la grotta pareva fermarsi in mezzo a una ghirlanda di giunchi fioriti, per riposarsi, come faceva lui, prima di correre per la sua via.
p. 759
Tutto allora sospirò, nella penombra argentea dell'alba; al respiro dell'acqua fra i giunchi rispose il respiro delle foglie.
pp. 759-760
Riaccese il fuoco, infilò la carne nello spiedo di legno e la mise ad arrostire davanti alla fiamma; infine si spogliò e scese nudo alla conca guardandosi il petto bianco come quello di una donna. Non cessava di spiare attorno, mentre si strofinava i piedi con ciuffi di capelvenere che gli lasciavano la pelle verdastra; nel sollevare il viso per ascoltare i rumori lontani, i suoi begli occhi riflettevano il verde e l'oro intorno; e sul suo dorso bianco macchiato di grossi nèi simili a lenticchie passava un brivido e tremolavano le ombre dei giunchi.