Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
p. 749
A che ero buono io, se non riuscivo ad alleviare la vita grama della mia famiglia? Quella notte dovevo tornare qui all'ovile e invece me ne andai ai monti di Orgosolo.
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Dopo cena preparò le sue cose per il ritorno a Nuoro; doveva partire alla prima alba, tuttavia a tarda notte stava ancora in faccende e non si decideva ad andarsene a letto. Guardava intorno per la stanzetta solitaria avvolta come un nido dal vago mormorio degli alberi, e la sua grande casa di Nuoro, umida e scura, col portone ferrato e le finestre solide, tornava ad apparirle come una prigione: non mancava neppure la guardiana inesorabile, la serva Fidela, con le chiavi alla cintura, e gli occhi di spia.
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Erano gli usignuoli che cantavano. Uno era proprio sull'albero della radura che con quel canto e la luna in mezzo ai rami raggiava tutto come una sfera.
p. 751
Vedeva l'albero in mezzo alla radura argentea e i cani addormentati nell'ombra; e più in là le due ali del bosco, chiara quella degli elci fioriti, nera quella dei soveri; e fra un'ala e l'altra il vuoto della lontananza rischiarato dall'alba della luna coi monti che cominciavano a profilarsi come avvicinandosi attraverso un tremulo velo di luce. Dapprima fu il monte d'Oliena, bianco, fatto d'aria, poi i monti di Dorgali a destra e quelli di Nuoro a sinistra, azzurri e neri; e d'un tratto tutto l'orizzonte parve fiorire di nuvole d'oro. Era la luna che spuntava.
E subito al velo d'oro che si stese dai monti alla Serra parve sovrapporsi un altro velo, una rete di perle che tremava sopra tutte le cose e le rendeva più belle, vive nel sogno. La foresta rideva nella notte, eppure le foglie che cadevano dagli elci parevano lagrime.
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I suoi capelli folti, corti, a piccole onde nere inargentate dalla luna odoravano d'erba, di polvere, di sudore; un odore selvatico e profumato assieme, che turbò Marianna più che il gesto di lui.