Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Marianna Sirca
Grazia Deledda
p. 732
Ecco che anche lui arrivava: era a cavallo; indossava il cappottino da lutto dei vedovi, e il velluto nero del giubbone faceva risaltare anche da lontano il pallore giallognolo del suo viso scarno circondato da una rada barbetta scura a punta.
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Marianna era pronta a obbedire anche a questa innocente vanità di lui, che aumentava del doppio la sua rendita; tanto più che il parente Sebastiano veniva per conto di certi negozianti ozieresi che volevano acquistare il sughero del suo bosco di soveri: e senza alzarsi aguzzava lo sguardo, pensando a questo suo cugino in secondo grado, né giovane né vecchio, né ricco né povero, vedovo e solo, che fra tanti parenti bisognosi che le serbavano rancore per l'eredità dello zio, era l'unico a dimostrarle un po' di attaccamento disinteressato.
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Le pareva e non le pareva, di conoscerlo: di aver altre volte veduto quei denti che brillavano fra le labbra fresche ombreggiate da una lieve peluria, e nel viso scuro i lunghi occhi che sembravano turchini tanto il bianco era di un azzurro perlato.
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I suoi grandi occhi neri vivissimi, che illuminavano tutta la sua figura triste, cercarono subito Marianna; e appena smontò agile davanti a lei che s'era alzata silenziosa, le cinse le spalle con un braccio guardandola di sotto in su, un poco più piccolo di lei, familiare ma anche malizioso.
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Di fronte al finestrino nel cui sfondo verdeggiava il bosco, s'intravedeva, attraverso l'uscio aperto, la stanzetta attigua che aveva anche una porta verso la radura: l'ambiente pulito, col lettino bianco di Marianna, il tavolo, un quadretto e un piccolo specchio alla parete, contrastava con quello della cucina.