Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
p. 72
Che profonde dolcezze di sfondi c'erano adesso laggiù, nei mattini splendenti, nei crepuscoli d'oro-roseo, nelle notti brillanti di stelle, purissime, quando la luna nuova calava misteriosamente sui boschi taciti!
p. 73
Zio Portolu, la vecchia volpe, vedeva benissimo lo stato d'animo e di corpo del figliolo, senza riuscire a indovinarne la causa, e se ne accorava, e sgridava acerbamente Elias nei pochi momenti che restavano insieme.
p. 73
- Perché ti nascondi?, - gli urlava. - Che vita è questa? Se mediti un delitto, còmpilo e sia finita; se sei innamorato, appiccati. Uomo sei tu? Un fuscello sei, una statuetta di cacio di vacca! Non vedi che non puoi stare in gambe, e che il tuo viso è verde come una rana?
p. 73
Nella sua tristezza egli aveva posto odio agli uomini; anche suo padre e Mattia lo disgustavano, e quindi li fuggiva, vagava tutto il giorno attraverso la gialla e ardente solitudine della tanca, e passava le notti all'aperto.
p. 74
Gli pareva la voce di prete Porcheddu, di Maddalena, di sua madre, di zio Martinu; ricordava il sogno fatto la prima sera del ritorno e quello in riva all'Isalle, e altri sogni, altre visioni lontane.