Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Elias Portolu
Grazia Deledda
p. 26
Eppure non sono mai stato ammalato; solo una volta ho avuto una colica tremenda, e mi pareva di morire, "Santu Franziscu mio", dissi allora, "fatemi uscire da quest'orrore, e la prima cosa che farò, tornando in libertà, sarà di venire alla vostra chiesa e portarvi un cero."
- Santu Franziscu bellu! -, esclamò zia Annedda, giungendo le mani. - Noi ci andremo, noi ci andremo, figlio mio! Che tu sii benedetto, tu ripiglierai le tue forze, non dubitarne. Noi andremo a far la novena a San Francesco: e Pietro verrà alla festa e porterà in groppa al suo cavallo la fidanzata.
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Confuse visioni cominciarono a ondeggiargli davanti alla fantasia: ricordava sempre l'ovile, la tanca coperta di fieno altissimo, e vedeva le pecore, ingrossate dal lungo vello, sparpagliate qua e là tra il verde della pastura; ma queste pecore avevano visi umani, i visi cioè dei suoi compagni di sventura. E provava un'angoscia indefinibile. Forse era il vino che fermentandogli nel sangue gli causava un po' di febbre.
p. 28
- Vado dietro queste pecore matte. Ma sono così stanco, padre della selva mia! Non ne posso più; sono debole e sfatto; non valgo più a nulla.
p. 28
Vedeva ancora la tanca, il fieno, le pecore grosse di lana gialla intricata, la linea verde del bosco vicino.
p. 28
Elias lo riconobbe subito: era un uomo d'Orune, un selvaggio sapiente, che vigilava l'immensa tanca d'un possidente nuorese, perché non estraessero di frodo il sughero dei soveri.