Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 268
Volse il viso al soffitto e chiuse gli occhi: Pretu abituato a quelle stranezze si affrettò a rimetter tutto nel pacco; rimise la carta rosa e sulla carta rosa le violette; ma non riabbassò il coperchio e lasciò la cassetta sopra lo sgabello; poi se ne andò perché aveva fretta di raccontare a qualcuno l'avvenimento.
p. 268
Il rettangolo di sole s'era avanzato fino ai piedi del letto, quasi cercando di salirvi sopra e di lambire il malato: la cassetta con la carta rosa e le viole metteva una nota insolita nello squallore della stamberga.
p. 269
Il servetto aprì e l'omone precipitò dentro col suo bastone, i suoi piedi pesanti, il suo berretto e il suo collo di pelo: forse per effetto di questo, poiché la notte era tiepida, egli era più rosso del solito; come un brillante velo di sudore gli copriva il volto e i suoi occhi splendevano.
p. 270
Anche lui era allegro, il dottore, rideva delle cose che raccontava: una avventura di caccia, una specie di conflitto con le guardie forestali che lo avevano sorpreso nel bosco a tirare ad una pernice.
p. 270
- Egli è un selvaggio... Tolstoi...
- Andate all'inferno, tu e il tuo Tolstoi, io amo quello che mi pare e piace; la caccia, il tabacco, il vino se occorre... Tu e Tolstoi non mi seccate... Io non faccio male a nessuno: gli animali non soffrono; io son qui grande e grosso e vivrò a lungo, mentre tu col tuo amore per il prossimo ti sei legate le gambe, hai fatto come le monache che si chiudono da sé in prigione. Io voglio esser libero, libero - urlava e tutta la stamberga tremava per i suoi colpi di bastone, - e infischiarmi di tutti, barbari o degenerati che siate. Io vado dove mi pare e piace, e il cinghiale e il falco sono i soli nemici che io mi degno di perseguitare.