Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 264
Una corrente d'aria fresca attraversò la stamberga, e il postino, o meglio uno dei vetturali che facevano il servizio della diligenza fra Nuoro e Oronou, entrò con un pacco e uno scartafaccio in mano.
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- Pacco! Da Nuoro! Firma! - gridò con la sua voce rauca. - E come andiamo, Jorgj? - Lasciò cadere il pacco, una cassetta con la cordicella e i sigilli rossi già staccati dalle assicelle, e il tavolinetto di Jorgj traballò sotto il peso insolito.
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Il malato taceva guardando l'uomo e la cassetta con occhi quasi selvaggi; solo il ricordo che ogni anno per Pasqua la moglie di zio Conzu gli mandava da Nuoro certe focacce di pasta e cacio fresco lo tratteneva dal respingere il pacco.
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Era un uomo alto e scarno, vestito con una vecchia divisa da cantoniere i cui filetti rossi si erano come arrugginiti. Anche la pelle del suo viso, aderente alle ossa, era d'un rosso di ruggine, essiccata dal vento e dal sole; ma sotto le sopracciglia rossiccie sporgenti come cespugli secchi sull'orlo della roccia gli occhi d'un azzurro metallico sorridevano; ed egli portò nella stamberga come un soffio dei grandi paesaggi che attraversava ogni giorno.
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Va bene, firma lì: hai le mani bianche, poltrone! Alzati, alzati, che fai bene!