Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 243
Il sole al declino penetrando per l'uscio aperto sulla veranda illuminava la cassa: fra il nero dell'orbace i lembi di scarlatto parevano macchie di sangue e il panno giallo aveva un luccichìo d'oro; una rosellina violacea spiccava su un fondo di velluto verde come sull'erba di un prato.
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Il sole illuminava ancora i tetti delle casupole, ma con un bagliore roseo morente; piccole nuvole gialle e rosse come fiori salivano dietro la chiesa e pareva venissero dalla valle portando fino al villaggio l'odore dei narcisi e delle rose canine.
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Era quasi freddo, quando si trovavano soli; le parlava di cose che ella capiva vagamente, come una bambina a cui si
spiegano cose da grandi;le raccontava storie d'amore, le recitava poesie di cui alcuni versi risuonavano entro l'anima sua come squilli di campane e gridi di falco, mentre il resto le sembrava il mormorio dolce ma confuso del torrente.
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Quella ove dormiva il nonno era ingombra di fucili, di leppas, di bisacce e aveva un odore di ovile; dal soffitto pendevano grappoli di uva gialla e di pere rossiccie appassite.
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Columba si avvicinò alla parete di fondo e la spinse; un usciolino s'aprì, stridendo lievemente come una corda di violino, e lasciò vedere un andito buio quasi tutto occupato da due casse nere.