Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 231
Tutto il santo giorno Banna seduta al sole davanti alla sua porta mentre cuciva le brache di grossa tela per suo marito non parlava che del matrimonio di sua sorella, della casa, del bestiame, dei servi, delle tancas, dell'orto e del chiuso dello sposo: se qualche donnicciuola maligna accennava a Giorgio Nieddu, ella sospirava tirandosi il lembo del fazzoletto sul viso e non rispondeva.
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- Nessuno, colomba mia bianca, nessuno avrebbe potuto farteli così. Guardali; non pare che sian cuciti dalle fate? Guarda queste camicie! Non sembran nuvole? Vedi i punti del giubbone? E i soprapunti? Ne hai visti mai uguali! Se tu mi assicuri che ne hai veduto degli eguali io mi chiudo la bocca con la stoppa e non la riapro più. Ma che hai, colomba mia? Sei pallida e bianca: non ti senti bene? O sei scontenta della roba?
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- Ecco; e che tu possa indossarla con allegria fino a cento anni, - disse con accento commosso sollevando sulle sue mani scarne la gonna di sposa di Columba, di orbace nero, orlata di panno verde; dopo la gonna prese il giubbone di panno giallo soffiandovi su per togliervi qualche pelo e qualche filo; dopo il giubbone il corsettino di velluto verde e di broccato d'oro.
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Zia Martina depose la corbula sulla cassa e levò e scosse la salvietta che la copriva: apparve un mucchio di stoffe nere, verdi e gialle...
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La camera dava sulla veranda ed era vasta, bassa, con un gran letto alto e duro circondato in fondo da un volante di stoffa a quadretti bianchi e rossi; dodici sedie antiche, di noce e di paglia, annerite dal tempo, s'allineavano simmetricamente lungo le pareti tinte con la calce, tre da una parte e tre dall'altra dell'alto cassettone scuro, tre da una parte e tre dall'altra di una lunga cassa nera scolpita.