Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
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Un senso di poesia barbara e un velo di leggende circondavano la casa antica ov'ella abitava: talvolta vedevo la testa medioevale del vecchio apparire nel vano delle finestruole simili a feritoie, e tutto un passato epico risorgeva davanti a me, nel silenzio intenso dei meriggi profumati dall'odore del lentischio, o nei crepuscoli interminabili quando io stanco di una realtà troppo meschina mi abbandonavo alle mie fantasticherie di adolescente.
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Era un ballatoio coperto da un tetto di tegole, una rozza imitazione dell'antico calcidium, sul quale s'aprivano le porte delle camere al primo piano: spesso Columba stava là seduta su uno sgabello accanto a una pianticella di basilico verdeggiante in un vaso di sughero.
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I falchi passavano sul luminoso cielo d'agosto sopra il cortile patriarcale; il loro strido d'amore e di rapina faceva sollevare il viso a Columba, e quel viso delicato e ardente, quei grandi occhi dalle palpebre brune, tutto il quadro semplice e antico richiamava sulle mie labbra i versetti del Cantico dei Cantici.
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Ella cuciva o ricamava e un agnellino nero stava sdraiato ai suoi piedi.
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E il vecchio presiedeva a capo della tavola fra i due boccali di vino raccontando le sue avventure, mentre lo sposo un po' pallido rideva e beveva, e agli scherzi e alle allusioni degli invitati rispondeva dicendosi capace di andare alla tanca per domare i puledri.