Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 199
Mentre mio padre mi raccontava le vicende dell'inimicizia del nostro paese la mia fantasia svolazzava di qua e di là come le pernici su gli olivastri, e in ogni pietra vedeva un ricordo, in ogni susurrio di sorgente ascoltava una leggenda.
p. 199
Ma un giorno mio padre ordinò alla matrigna di riempire di pane, di formaggio e di legumi una bisaccia, e tutti e due, lui in sella io in groppa, montammo a cavallo diretti a Nuoro.
p. 199
Anni di semplicità e di gioia! Io mi alzavo prima dell'alba gorgheggiando con gli uccelli; tutto mi sembrava grande, tutto mi sembrava bello; mi pareva di vivere in una città tumultuosa; se andavo a messa il vescovo mi sembrava Cristo; a scuola consideravo i professori come uomini grandi e celebri, e se coi compagni facevamo qualche escursione nei dintorni o ci spingevamo sino ad Oliena o a Mamojada ero convinto di aver veduto i più bei paesaggi del mondo e di aver esplorato terre ancora ignote. Leggevamo ancora le poesie di Iginio Tarchetti mentre i romanzi e le novelle di Gabriele d'Annunzio ci rivelavano un mondo incantato e malefico, una piaga dolce e ardente piena di fiori velenosi e di frutti proibiti.
p. 199
Per sfuggire alle persecuzioni della matrigna me ne andavo fra i dirupi nei dintorni del paese nascondendomi fra le pietre e l'erba come una lucertola.
p. 199
Così arrivammo a Nuoro e andammo nella casa di zio Giuseppe Maria Conzu. Là rimasi cinque anni a pensione; a pensione per modo di dire perché pagavo solo il fitto di una stanzetta terrena e mi preparavo il pasto da me con le provviste che ogni due o tre settimane mio padre mi mandava.