Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 193
Io passavo i giorni ad oziare, a portar acqua e ad immischiarmi nelle questioni delle donne alla fontana: a tutti domandavo chi aveva un bel cavallo da corsa, ma tutti mi dicevano se volevo comprarlo e mi ridevano in faccia. Finalmente un vecchio rimbambito mi indicò un ricco paesano malato che voleva vendere il suo cavallo. Io andai: l'uomo giaceva immobile e giallo su una stuoia e le donne lo piangevano già come morto; tuttavia domandai del cavallo e una vecchia mi rispose sottovoce che era al pascolo nel bosco comunale: se qualcuno voleva comprarlo andasse a vederlo. Allora l'idea di cercare il cavallo per condurlo alle corse non mi abbandonò più.
p. 193
Alle spalle del vecchio, accoccolata sulla soglia si vedeva sua figlia Liedda, vedova anche lei precocemente invecchiata da una malattia di cuore; come sfondo alla sua figura nera dal viso cereo l'interno della cucina rosseggiava al chiarore del focolare acceso anche d'estate, e le casseruole di rame brillavan sulle pareti come lune al tramonto.
p. 193
Benché gemelle Colomba e Banna non si rassomigliavano; la prima col viso ovale bruno come un oliva, gli occhi d'un nero verdognolo seminascosti da larghe palpebre violacee, era delicata e timida, mentre Banna, robusta, scura in viso come una mulatta, con le labbra grosse, il naso aquilino dalle narici frementi, gli occhi verdastri maliziosi e felini, pareva avesse assorbito lei tutta la vitalità che mancava alla sorella.
p. 194
Io cominciai a urlare; le mie grida echeggiavano come i ruggiti del leone nel deserto: il nemico fuggì e ci lasciò tranquilli, perché credette che con me ci fossero altri venti uomini, tanto avevo gridato.
p. 194
Ah, piccole lucertole mie, quella volta sì. Dunque mia moglie venne a trovarmi. Ero nel salto de S'Ena e Melas, dove una volta abbiamo avuto il bestiame.