Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 192
Ma appena sentiva il rumore degli scarponi ferrati di mio padre che risuonavan sui ciottoli del cortile come ferri di cavallo, ella mutava fisionomia, di severa e minacciosa diventava dolce e servile; preparava il tagliere, deponeva il canestro del pane accanto al focolare e mi diceva:
- Avvicinati, cuore mio, mangia; avrai fame.
p. 192
- Tu ritorni sempre all'ora del pasto come le lepri alla vigna, - mi diceva, - poltrone, malandato, buono a niente...
p. 192
Nonostante i minacciosi pronostici della donna mi affrettavo a rientrare: l'odore di carne di capra arrostita allo spiedo che usciva da molte casupole stuzzicava il mio appetito: appena fui qui dentro vidi appunto un pezzo di carne infilato in uno spiedo, e siccome la mia matrigna era andata su a prendere il pane mi curvai sul focolare come una volpe affamata e coi dentini cominciai a strappare qualche pezzetto di arrosto...
p. 192
Mio padre rientrava, parlava del fitto della tanca, del contadino che voleva i denari; parlava delle capre, delle vacche, del servo che guardava l'ovile; di tutto fuor che di me.
p. 192
Mi par di rivedermi ancora fanciullo in questa tana che non era squallida come lo è adesso; mi aggiravo sempre in cerca di qualche cosa, sollevando con la testa il coperchio della cassa, arrampicandomi sugli sgabelli per guardare cosa c'era nell'armadio; e rivedo nel vano della porta la tragica figura della mia matrigna, gialla e nera in viso come nei vestiti, con un canestro di pane sul capo e le mani che minacciano...