Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 191
- Sant'uomo,- diceva il contadino, - io ho bisogno di denari non di chiacchiere: non me ne andrò di qui, oggi, senza i denari, perché domani mi scade una cambiale e se chi mi deve non mi paga sarò costretto a vendere il mio cavallo. Il mio cavallo! Lo stesso che l'anno scorso mi ha fatto vincere il premio di dodici scudi e due palmi di broccato alle corse per le feste del Salvatore. E perché me li fate perdere quest'anno, questi dodici scudi, veri come i dodici apostoli? Solo il mio cavallo può vincer la corsa, che i vermi vi rodan le orecchie. [...] Ma il contadino insisteva, ripetendo la storia del suo cavallo fino a suggestionarmi. [...] Mi pareva di vedere nello stradone di Nuoro la corsa dei berberi. Cavalli neri e bianchi, puledri bai e cavalle pezzate correvano giù, fra la polvere dorata dal sole; correvano così rapidi che si distingueva appena il loro colore; e i fantini, tutti ragazzetti come me, piegati sul collo delle bestie, scalzi, a testa nuda, cavalcavano senza sella fermi e sicuri come piccoli centauri.
p. 191
Una donna che tornava dalla fontana mi disse: - Ohi, ohi, matrigna tua sembra una biscia calpestata: va, va, che t'aspetta!
p. 191
- Pagherò! Non s'è mai sentito dire che Remundu Nieddu sia un mal pagatore: ho vacche, ho capre, ho intenzione di far di mio figlio un notaio.
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Del resto essi parlavano a voce alta e pareva litigassero; un vecchio con una lunga barba gialla seduto all'orientale sopra la panchina attigua cercava di metterli d'accordo.
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- Che m'importa? Io andrò a correre i cavalli alla festa del Salvatore!