Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 188
Zio Dionisi, un ometto rosso e allegro, si volse e aprì le mani come per dire: «mio fratello non c'è; ebbene che volete farci? non sono qua io?»
p. 189
La primavera calma e quasi austera dell'altipiano e quel grandioso paesaggio chiuso dal mare erano degno sfondo al quadro popolato di tipi bellissimi, dal vescovo decorativo seduto ai piedi di una quercia come un sacerdote druidico, ai vecchi pastori che neppure per mangiare si levavano il cappuccio dalla testa; dal prefetto pallido e sarcastico vestito da cacciatore, al segretario del comune che per l'occasione s'era comprato un abito da società e un
cappello duro.
p. 189
Mi pareva di sognare, di assistere ad un banchetto come quello delle fiabe: c'era di tutto e il vino scorreva dalle botti come l'acqua dalle fontane; il latte si mischiava col miele, interi cinghiali, cataste di pernici, laccheddas di anguille passavano davanti al vescovo che beveva solo un po' d'acqua e masticava un cardo selvatico.
p. 190
La mia matrigna, affacciatasi alla finestrina della camera di sopra, mi richiamava con strilli d'aquila, augurandomi di morir di fame o di esser perseguitato da qualche cattiva fata.
p. 190
Mio padre sposò la vedova pochi giorni dopo le paci. Era un uomo piuttosto mite e taciturno, incapace di far male a una mosca, ma guai se l'offendevano senza ragione o se gli prendevano la sua roba.