Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1941
Colombi e sparvieri
Grazia Deledda
p. 147
Da una delle tre case rossastre, il Municipio, la casa del parroco e quella di zia Giuseppa Fiore, le cui finestruole munite d'inferriata e i balconi di ferro al primo piano guardavano sulla piazza, uscì una vecchia di bassa statura, col viso pallido seminascosto da una gonna nera in cui ella avvolgeva la testa e metà della persona come in un mantello; prima di scendere gli scalini di granito che da una specie di patiu come quello dei nuraghes mettevano sulla piazza, volse in giro i grandi occhi cerchiati e un'espressione di sarcasmo le circondò d'un solco la bocca sdentata.
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Faceva freddo, ma i paesani barbuti e robusti, rossi in viso, con occhi nerissimi e denti candidi, erano vestiti di orbace, di pelli, di saia, con cappotti stretti e cappuccio in testa, e sentivano il sangue scorrere caldo nelle vene: sembravano uomini di altri tempi, e il loro dialetto composto quasi tutto di latino accresceva quest'illusione.
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Anche dalla fontana, chiusa in una specie di tempietto con un cancello di ferro, le donne imbacuccate come arabe nelle sottane nere, mentre riempivano le loro brocche di creta e strillavano litigando, salutarono la vecchia rivolgendole parole scherzose.
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Sembravano uomini di altri tempi, e il loro dialetto composto quasi tutto di latino accresceva quest'illusione.
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La piccola vecchia scosse la testa sotto il suo bizzarro mantello nero, e scese lentamente gli scalini.