Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Arrivò a Fonni ch'era già notte. La luna nuova cadeva sul cielo lucido frastagliato dal profilo nero dei tetti di scheggia; l'aria era freschissima, profumata; si udivano distintamente i tintinnii delle capre ritornanti dal pascolo, il passo dei cavalli, i latrati dei cani; ed Anania pensò a Zuanne e ricordò l'infanzia lontana come non l'aveva ricordata durante la sua prima gita a Fonni.
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Passando sotto un albero egli fermò il cavallo per contemplare uno squarcio di paesaggio che sembrava un quadro simbolico: le montagne s'eran fatte violette; una lunga nuvola dello stesso colore oscurava l'orizzonte in alto: fra la nuvola e le montagne il cielo d'oro e un grande sole cremisi senza raggi.
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laquo;Deve esser morta!», pensò, smontando dal vecchio cavallo che rimase immobile.
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Intanto la vedova, rimasta accanto alla porta, diceva al paesano: - Fidele, bada al cavallo: ecco, la paglia è là. Muoviti.
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- Alle due! Ho ricevuto la notizia a quell'ora, io! Ah, perché non avvertirmi prima?
- Che potevi fare? - osservò la vedova, che badava sempre al cavallo. - Muoviti, Fidele, figlio - aggiunse con un po' di impazienza.