Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 189
In certi momenti gli pareva che niente fosse vero; nella casa della vedova c'era soltanto la vecchia, col suo cappotto e le sue leggende: niente altro... niente altro...
La seconda notte dopo il suo ritorno udì zia Tatàna raccontare una fiaba ad un bimbo del vicinato: «...La donna fuggiva, fuggiva, gettando dei chiodi che si moltiplicavano, si moltiplicavano, coprivano tutta la pianura. Zio Orco la inseguiva, la inseguiva, ma non arrivava a prenderla perché i chiodi gli foravan i piedi...»
p. 195
La Dea ammantata di maestà e di bontà aveva sciolto i suoi veli aurei ed appariva ignuda, impastata d'egoismo e di crudeltà; la Minerva taciturna apriva le labbra per bestemmiare; il simbolo s'apriva, si spaccava come un frutto, roseo al di fuori, nero e velenoso all'interno.
p. 198
Verso le tre del pomeriggio Anania era già in viaggio verso Fonni, su un vecchio cavallo cieco d'un occhio, che in verità non procedeva come l'occasione avrebbe richiesto.
p. 198
Per un pezzo Anania pensò solamente alla lettera ch'egli stesso, passando a cavallo, aveva consegnato alla serva del signor Carboni.
p. 199
Il tramonto lo avvolse mentre egli saliva da Mamojada a Fonni: un velo di dolcezza stendevasi sul grande paesaggio roseo: le ombre che si allungavano soavemente sul tappeto dorato delle stoppie davano l'idea di persone dormienti, e le montagne rosee si fondevano col cielo roseo, ove la luna mostrava già la sua unghia di perla.