Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 188
Gli pareva d'esser caduto in un abisso roccioso, fra montagne erte desolate che soffocavano il breve orizzonte; ricordi lontani gli risalivano dal profondo dell'anima: le notti di febbre a Roma, il fragore del vento su Bruncu Spina, una poesia del Lenau: I Masnadieri nella Taverna della landa, la canzone del mandriano che era passato nella straducola la sera in cui zia Tatàna aveva chiesto la mano di Margherita.
p. 188
Egli aveva ancora nelle orecchie il rombo del vento, ricordava il freddo della notte passata a Fonni, e provava una strana impressione.
p. 188
Ma nello sfondo della sua immaginazione nereggiava sempre la cucina della vedova, col cappotto nero e vuoto come un simbolo, con la figura di Olì dai grandi occhi di gatto selvatico.
p. 189
Quella notte egli sognò che l'uomo di Fonni gli aveva portato la novella: ella era fuggita... egli la inseguiva, la inseguiva... attraverso una pianura coperta di chiodi... Eccola, ella è là, all'orizzonte: fra poco egli la raggiungerà e la ucciderà; ma egli ha paura, ha paura... perché ella non è Olì, è il mandriano passato nella viuzza mentre zia Tatàna era dal signor Carboni... Anania corre, corre; i chiodi non lo pungono, eppure egli vorrebbe che lo pungessero... Olì, trasformata in mandriano, canta: canta i versi del Lenau: I Masnadieri nella Taverna della landa; ecco, egli sta per raggiungerla e ucciderla, e un gelo di morte lo agghiaccia tutto...
p. 189
Il giorno dopo il suo ritorno, vedendo un uomo di Fonni attraversare la viuzza, impallidì mortalmente.