Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 156
Vorrei balzare giù dalla vettura, correre su per le chine, fra l'erba ancora fresca, tra le macchie e le roccie, gridando di gioia selvaggia, imitando il puledro sfuggito al laccio e ritornato alla libertà delle tancas.
p. 156
Davanti alle casette nere costrutte sulla roccia s'aggruppavano caratteristiche figure di paesani: donne graziose, coi capelli lucenti attortigliati intorno alle orecchie, scalze, sedute per terra, cucivano, allattavano, ricamavano.
p. 156
Nell'arco del mantice i paesaggi si disegnavano sempre più freschi, con sfondi luminosi: la piramide grigiastra di monte Gonare, le linee cerule e argentee della catena del Gennargentu apparivano come incise sul metallo del cielo, sempre più vicine, sempre più maestose.
p. 156
Oh, contemplare le nuvole dall'alto d'un monte! Figurarsi d'essere il pastore d'una torma di nuvole: vederle errare sul cielo argenteo, incalzarsi, svolgersi, passare, scomparire!
p. 157
Nulla era cambiato: miseria, stracci, fuliggine, un po' di cenere sul focolare, grandi tele di ragno fra le scheggie del tetto; e, imperatore truce di quel luogo di leggende, il lungo e vuoto fantasma del gabbano nero appeso al muro terreo.