Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 119
Al solito, i due compagni salirono per Via Nazionale e il Daga si fermò a guardare i giornali davanti al Garroni, mentre Anania proseguiva distratto, andando incontro ad una fila ciangottante di chierici rossi, uno dei quali lo urtò lievemente. Allora egli parve destarsi da un sogno, si fermò e aspettò il compagno, mentre i chierici s'allontanavano, e il riflesso dei loro abiti scarlatti dava uno splendore sanguigno al lastrico bagnato.
p. 120
Questa signora si chiamava, o si faceva chiamare, Maria Obinu, nativa di Nuoro. Abitava in Roma da quattordici anni, e nei primi tempi aveva vissuto un po' irregolarmente.
p. 120
Inoltre egli sapeva che a Nuoro non esisteva alcuna famiglia Obinu, e che nessuna donna nuorese viveva e affittava camere a Roma. Evidentemente quindi la Obinu falsava il suo nome e la sua origine...
p. 120
Appoggiato al muro Anania guardava l'orizzonte e ricordava la sera in cui, bambino, era salito sulle falde del Gennargentu ed aveva veduto un pauroso cielo tutto rosso, animato da spiriti invisibili.
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Poi ricordava la pineta di monte Urpino, il silenzio delle cime coperte d'asfodeli e di iris violette, il mistero dei viali vigilati dal puro sguardo delle stelle. E la figura diletta di Margherita dominava i freschi paesaggi natii, circondata di asfodeli e di gigli selvatici, coi capelli di rame sfumati nel fulgore del cielo metallico.