Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 106
Egli non sapeva dove fermarsi, tanto i posti erano deliziosi; colse un fascio d'iris, e infine salì sopra una cima verde di asfodeli, dalla quale si godeva la triplice visione della città rossa al tramonto, degli stagni azzurrognoli e del mare che pareva un immenso crogiuolo d'oro bollente.
p. 106
D'allora in poi le pinete di monte Urpino diventarono il regno dei suoi sogni: a poco a poco egli si considerò talmente padrone del luogo che si irritava quando incontrava qualche persona nei viali solitari: spesso rimaneva nella pineta fino al cader della sera, assisteva ai rossi tramonti riflessi dal mare, o seduto fra le iris guardava il sorgere della luna, grande e gialla, fra i pini immobili.
p. 106
Il cielo ardeva; la terra esalava delicate fragranze; le nuvole azzurrastre, che disegnavano sull'orizzonte d'oro profili di cammelli e figure bronzee, davano l'idea d'una carovana e ricordavano l'Africa vicina.
p. 106
Anche a Cagliari, durante il primo anno di liceo, egli non ebbe amici e neppure conoscenti; quando non studiava o non vagava solitario in riva al mare, sognava sul balcone, come una fanciulla.
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Una sera, mentre stava seduto sull'erba di una china, al di là di un piccolo burrone, udì un tintinnio di greggie pascenti, e fu assalito da un impeto di nostalgia.