Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 99
Eppure!... passando sotto un nuraghe nero su un'alta roccia, simile ad un nido d'uccelli giganteschi, Anania desiderò di trovarsi lassù con Margherita, soli tra le rovine e i ricordi che spiravano col selvaggio odor del lentischio; soli, suggestionati da ombre e da fantasmi di età epiche.
p. 99
Poca gente saliva o scendeva nelle stazioni desolate, e le acacie, lungo la linea, pareva aspettassero il treno per gettargli contro nembi di foglioline gialle. «Ecco, » dicevano le acacie al treno, «prendi, piccolo mostro dispettoso: noi stiamo sempre ferme e tu cammini. Che cosa pretendi di più?»
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Sì, le acacie smarrite nelle immote solitudini sarde avevano ragione: sì, muoversi, andare, correre vertiginosamente, questa era la vita.
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Lungo il viaggio da Nuoro a Macomer stette sempre sul terrazzino del vagone, scosso fortemente dall'urto dispettoso del piccolo treno.
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Tutte le cose gli andavano a seconda; appena arrivato a Cagliari trovò una bellissima camera con due balconi, da uno dei quali si godeva un paesaggio chiuso da colline e dal mare luminoso, talvolta così calmo che i piroscafi ed i velieri si disegnavano come incisi sull'acciaio, e dall'altro il panorama della rosea città, che coi suoi bastioni, il suo Castello, i palmizi, i giardini, rassomigliava ad una città moresca.