Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 59
Quaranta bambini animavano la classe. Anania era il più grande di tutti, e forse per ciò la piccola maestra, che aveva anche due terribili occhi neri, si rivolgeva a lui di preferenza, chiamandolo col solo cognome e parlandogli un po' in dialetto sardo, un po' in lingua italiana.
p. 59
Anania provò una vera delusione nel veder comparire, invece del maestro descrittogli da Bustianeddu, una maestra vestita in costume, piccola e pallida, con due baffetti neri sul labbro superiore come li aveva anche zia Tatàna.
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A due a due, in riga, essi percorsero un buon tratto di strada: dopo furono lasciati liberi, e si dispersero per lo spiazzo come uccellini scappati dalla rete, correndo e girando.
p. 60
La bimba, con le calze violette, la sciarpa rossa, i polsini di lana verde, s'avanzava fra un nugolo di scolarette, uscite dalla scuola dopo i maschi, e passò davanti ai due amici senza degnarsi di guardarli.
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Dopo la maestrina dai baffi venne la volta del maestro che pareva un gallo; poi d'un vecchio maestro tabaccone che additando l'isola di Spitzberg diceva piangendo: «qui fu imprigionato Silvio Pellico»; poi di un piccolo maestro dalla testa rotonda, pallido, molto allegro, che si suicidò.