Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
p. 49
- È un male che viene agli ubriaconi, - spiegò Anania. - Si contorceva come un gatto...
Appena dette queste parole egli arrossì ricordando il gatto preso al laccio da zio Pera, e le cento lire rubate e nascoste nell'orto.
p. 49
Questa protezione, quel tono da padrona, quella figurina grassa e rossa, vestita di flanellina turchina, quel nasetto prepotente rivolto all'insù fra due guancie molto paffute, quei due occhi scintillanti alla luna, fra due bende ricciolute di capelli rossicci, piacquero immensamente ad Anania.
p. 50
- Spia! - proruppe Bustianeddu, minacciandolo coi pugni stretti. - Se tu parli ti ammazzo come una lucertola, ti rompo i denti con una pietra, ti faccio cacciar le viscere per gli occhi.
p. 50
Ma ebbe paura; rientrò nel molino e cominciò ad aggirarsi come un gattino affamato intorno a zia Tatàna che curava il malato. Ella gli fece la solita domanda:
- Che hai? Ti fa male il ventre?
- Sì, andiamo a casa.
p. 50
Non si vedeva nessuno, non s'udiva nulla nel grande orto umido e chiaro sotto la luna. Le montagne si delineavano azzurre sullo sfondo vaporoso del cielo; tutto era silenzio e pace.