Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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laquo;Fratelli in Dio, sono i cani che fiutano, non i cristiani! Il mio naso è d'argento e il vostro è di osso di morto. Ebbene, ecco che cosa io vi dico: se noi sciogliamo ora la compagnia sarà un brutto esempio di viltà; pensate che fra noi ci sono dei giovani alle prime armi; essi non chiedono che di spiegare la loro abilità come si spiega una bandiera nuova; se ora invece voi li mandate via, date loro esempio di vigliaccheria, ed essi ritorneranno fra la cenere dei loro focolari, resteranno oziosi e non saranno più buoni a niente. Avanti, puledri!»
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Corteddu scosse la testa di leone, mentre un altro bandito mormorava con disprezzo: «Si vede che colui non può fiutare!»
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La vedova raccontò:
- Eravamo sposi da pochi mesi; eravamo benestanti, sorella cara: avevamo frumento, patate, castagne, uva secca, terre, case, cavallo e cane. Mio marito era proprietario; spesso non aveva che fare e s'annoiava. [...] Disse di recarsi a Cagliari per affari... Egli partì
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Si alzò, accese una primitiva candela di ferro nero, e preparò la cena: patate e sempre patate: da due giorni Olì non mangiava altro che patate e qualche castagna.
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- Essi saranno come gli uccellini nudi entro il nido, quando la madre, ferita dal cacciatore, non torna da loro. Chi darà loro da mangiare? Chi farà loro da madre?