Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1945
Cenere
Grazia Deledda
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Fra le dita cerchiate di anellini di metallo, Olì recava striscie di scarlatto e nastri coi quali voleva segnare i fiori di San Giovanni, cioè i cespugli di verbasco, di timo e d'asfodelo da cogliere l'indomani all'alba per farne medicinali ed amuleti.
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Nella campagna intorno moriva la selvaggia primavera sarda: si sfogliavano i fiori dell'asfodelo e i grappoli d'oro della ginestra; le rose impallidivano nelle macchie, l'erba ingialliva, un caldo odore di fieno profumava l'aria grave.
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Solo in lontananza una casa campestre in rovina emergeva da un campo di grano, come uno scoglio in un lago verde.
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Dalla cuffietta rossa, legata sotto il mento sporgente, uscivano due bende di lucidi capelli neri attortigliati intorno alle orecchie: questa acconciatura ed il costume pittoresco, dalla sottana rossa e il corsettino di broccato che sosteneva il seno con due punte ricurve, davano alla fanciulla una grazia orientale.
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Olì uscì dalla cantoniera biancheggiante sull'orlo dello stradale che da Nuoro conduce a Mamojada, e s'avviò pei campi.