Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 546
E quando donna Ester si chinò su lui, credendolo addormentato e sollevò lievemente il lembo del panno, lo vide con gli occhi spalancati, col viso rosso, le labbra tremanti.
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Efix ricominciò a provare fastidio: aprì un momento gli occhi, li richiuse, gravi già del sonno della morte. E le parole di Giacinto si confondevano, di là del muricciuolo col fruscìo delle canne, col ronzìo del vento che passa.
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Ma d'improvviso una figura apparve sulla porta; alta, sottile, vestita d'uno stretto abito granato a fiori neri, aveva una ghirlanda di rose sul capo, e qua e là sul viso, sulla persona, sui piedi, qualche cosa che scintillava: gli occhi, i gioielli, le scarpette...Egli spalancò gli occhi e riconobbe Noemi; ma dietro di lei, accomodandole le rose del cappello e le pieghe del vestito, donna Ester con le ali nere dello scialle rigettate sugli omeri gli parve l'ombra della sposa.
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Per un'attenzione di Noemi verso il malato neppure la cucina era stata ripulita, come si usa per le nozze; la casa e il cortile erano silenziosi, il gatto stava immobile sulla panca, nero con gli occhi verdi come l'idolo della solitudine; nel silenzio si udiva il legno corroso del balcone scricchiolare e sollevando un poco di più la testa Efix rivide un'ultima volta il muro rovinato e l'erba e i fiori d'ossa dell'antico cimitero.
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Efix guardava silenzioso, immobile, con le mani nere e secche aggrappate all'orlo del panno; e pareva affacciarsi, già cadavere, dal mondo di là per contemplare un'ultima volta la felicità della sua padrona.