Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 531
Ecco, nella penombra glauca le cose stavano immobili al loro posto; il balcone, su, nero sul fondo grigio del muro, il pozzo coi fiori rossi, la corda sulla scala.
p. 532
- Dunque, in viaggio eravamo tutti poveri diavoli: si andava, si andava, senza sapere dove si andava a finire, ma sempre con la speranza del guadagno. Si andava, in fila, come i condannati...
p. 533
- Eravate proprio in campagna? Dicono che là è tutto caro. Rammenti quello che raccontavano gli emigranti, laggiù al Rimedio? Eppoi, dicono, è un paese dove non ci si diverte.
- Oh, per questo ci si diverte! Chi ha voglia di divertirsi, s'intende! Chi suona, chi balla, chi prega, chi si ubriaca: e poi tutti se ne vanno...
- Se ne vanno? E dove?
- Volevo dire... alle loro baracche, a riposarsi.
- E che lingua parlano?
- Lingua? Di tutte le parti. Io parlavo sardo, coi miei compagni...
- Ah, tu avevi dei compagni sardi?
- Avevo dei compagni sardi. Uno vecchio e uno giovane. Mi pare di averli ancora ai fianchi, salvo il rispetto alle loro signorie.
p. 533
Noemi ascoltava, zitta, lisciando la schiena al gatto che le ronfava in grembo con voluttà. Ascoltava, ma col pensiero lontano.
p. 534
- Sono stato io il primo paraninfo.
- Il primo e l'ultimo, - gridò Noemi buttando via il gatto come un gomitolo. - Basta; non voglio se
ne parli più.