Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 512
La nebbia si diradava, apparivano profili di boschi neri sull'azzurro pallido dell'orizzonte; poi tutto fu sereno, come se mani invisibili tirassero di qua e di là i veli del mal tempo, e un grande arcobaleno di sette vivi colori e un altro più piccolo e più scialbo s'incurvarono sul paesaggio.
p. 513
- È come che conduca un malato, un lebbroso. Dio terrà più in conto la mia opera di misericordia.
p. 513
Non sapeva perché, ma piangeva. Gli pareva di essere solo nel mondo, con l'usignuolo per compagno.
p. 514
Così andava andava ma non trovava pace; e il suo pensiero era sempre laggiù, fra le canne e gli ontani del poderetto. Specialmente alla sera, se un usignuolo cantava, la nostalgia lo struggeva.
p. 514
E andava, andava, in fila coi mendicanti, su, su, attraverso la valle verde di Mamojada, su, su, verso Fonni, per i sentieri sopra i quali, nella sera nuvolosa, i monti del Gennargentu incombevano con forme fantastiche di muraglie, di castelli, di tombe ciclopiche, di città argentee, di boschi azzurri coperti di nebbia; ma gli sembrava che il suo corpo fosse come un sacco vuoto, sbattuto dal vento, lacero, sporco, buono solo da buttarsi fra i cenci.