Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 488
Era partito dal poderetto con la certezza che qualche cosa di straordinario doveva succedere; ma guardando in su ai piedi della scala gli pareva che don Predu fosse anche lui triste, quasi malato, ed esitasse a scendere, con la falciuola scintillante in una mano e nell'altra il tralcio di vite dalla cui estremità violacea stillavano come da un dito tagliato goccie di sangue.
p. 488
Aprile rallegrava anche il triste cortile, le rondini sporgevano la testina nera dai nidi della loggia guardando le compagne che volavano basse come inseguendo la loro ombra sull'erba fitta dell'antico cimitero.
p. 490
Tutto era mutato; il mondo si allargava come la valle dopo l'uragano quando la nebbia sale su e
scompare: il Castello sul cielo azzurro, le rovine su cui l'erba tremava piena di perle, la pianura
laggiù con le macchie rugginose dei giuncheti, tutto aveva una dolcezza di ricordi infantili, di cose
perdute da lungo tempo, da lungo tempo piante e desiderate e poi dimenticate e poi finalmente
ritrovate quando non si ricordano e non si rimpiangono più.
p. 491
p. 491
Efix colse una viola del pensiero dall'orlo del pozzo e andò a offrirgliela. Ella sollevò gli occhi eravigliati e non prese il fiore.