Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 475
Un silenzio infinito regnava. Solo qualche grido di rondine pareva uscir dai muri in rovina, e un trotto di cavallo risuonò lontano, sempre più lontano.
«È Giacinto» pensò Efix, «ha preso un cavallo e torna laggiù e rivela tutto alle zie e le maltratta...»
Ascoltò. Gli sembrava che il passo del cavallo risuonasse sul muro, sopra di lui; e poi più basso, sul suo corpo, sopra il suo cuore.
p. 475
Ma d'improvviso Giacinto se ne andò senza dir niente, ed Efix vide davanti a sé lo spazio libero, la vallata rosea solcata d'ombre, su, su, fino alle colline di Nuoro nere contro il tramonto.
p. 475
Giacinto ascoltava alto, nero sul cielo rosso: la sua spalla tremava ed Efix, dal basso, credeva di veder tremolare tutto l'orizzonte.
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C'erano solo le serve, una grassa e anziana che si dava le arie imponenti della sorella del Rettore, l'altra giovane e lesta benché afflitta dalle febbri di malaria; ed egli dovette attendere nella stanza terrena, divagandosi a guardare nel vasto cortile i graticoli di canna coperti di fichi verdi e neri, d'una violetta e di pomidoro spaccati velati di sale.
p. 476
Ma ciò che impressionò Efix fu di vedere donna Noemi col fazzoletto bianco di donna Ruth sul capo, in segno di lutto. Era invecchiata, bianca in viso come il lenzuolo rattoppato che ella rattoppava ancora.