Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 471
Ella lo guardò fisso: lo vide così grigio e scarno che ne ebbe pietà e non parlò più.
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Egli si fece il segno della croce come davanti a una indemoniata e andò a prendere la sua bisaccia per fuggire in capo al mondo; ma donna Ester lo afferrò per la mano, e Noemi, che lo aveva seguito, cadde sulla panca come donna Ruth, con gli occhi chiusi e il viso violetto.
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Il villaggio bianco sotto i monti azzurri e chiari come fatti di marmo e d'aria, ardeva come una cava di calce: ma ogni tanto una marea di vento lo rinfrescava e i noci e i peschi negli orti mormoravano tra il fruscìo dell'acqua e degli uccelli.
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Nidi di rondine che col tempo avevano preso il colore della pietra correvano come una decorazione fra il tetto e i finestrini della casetta: ogni nido racchiudeva un mucchio di uccellini; di tanto in tanto una testina lucida e tonda come una nacchera ne usciva fuori, sgusciava una rondine, poi un'altra, dieci, venti, ed era tutto uno svolazzare di piccole croci nere, uno stridìo melanconico intorno al finestrino di Giacinto.
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Giacinto guardava le donne che andavano a messa, composte, rigide, coi visi quadrati, pallidi nella cornice dei capelli lucenti come raso nero, i malleoli nudi di cerbiatta, le belle scarpette fiorite: sedute sul pavimento della chiesa, coi corsetti rossi, quasi del tutto coperte dai fazzoletti ricamati, davano l'idea di un campo di fiori. E tutta la chiesa era piena di nastri e di idoli; santi piccoli e neri con gli occhi di perla, santi grossi e deformi, più mostri che idoli.