Milano, Arnoldo Mondadori Editore
Canne al vento
Grazia Deledda
p. 403
Donna Ester fece fare il pane apposta, un pane bianco e sottile come ostia, quale si fa solo per le feste, e di nascosto dalle sorelle comprò anche un cestino di biscotti.
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Noemi stava sempre sul belvedere, tra gli avanzi del banchetto; intorno a lei scintillavano le bottiglie vuote, i piatti rotti, qualche mela d'un verde ghiacciato, un vassoio e un cucchiaino dimenticati; anche le stelle oscillavano sopra il cortile come scosse dal ritmo della danza.
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Tutti gli anni la primavera le dava questo senso d'inquietudine: i sogni della vita rifiorivano in lei, come le rose fra le pietre dell'antico cimitero;[...]
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Tutti gli anni la primavera le dava questo senso d'inquietudine: i sogni della vita rifiorivano in lei,
come le rose fra le pietre dell'antico cimitero; ma ella capiva che era un periodo di crisi, un po' di
debolezza destinata a cessare coi primi calori estivi, e lasciava che la sua fantasia viaggiasse, spinta
dalla stessa calma sonnolenta che stagnava attorno, sul cortile rosso di papaveri, sul Monte
ombreggiato dal passaggio di qualche nuvola, sull'intero villaggio metà dei cui abitanti era alla
festa.
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Noemi ricordava di non aver mai preso parte diretta alla festa, mentre le sorelle maggiori ridevano e si divertivano, e Lia accovacciata come una lepre in un angolo erboso del cortile forse fin da quel tempo meditava la fuga.