Stefano Sampol Gandolfo
Roma, Tip. G. Ciotola
L'eremita di Ripaglia ossia l'antipapa Amedeo VIII di Savoia
Stefano Sampol Gandolfo
p. 129
L’avreste detta una cervotta, una capriola, una gazzella fra le sue balze native saltellante.
p. 130
Non infieriva quella, che di tutte le pesti è la più stomachevole e la più mortifera; che ha incominciato solo a serpeggiare fra noi da una quarantina di anni, che è già penetrata dappertutto, nelle città, nei comuni, e nei borghi, nei contadi, e persino sui monti.
Vogliamo dire la peste della stampa, e più propriamente del giornalismo.
p. 131
Chi oggi può penetrare dappertutto, nella regia come nel tugurio, nel palagio del grande come nella bottega dell’artigiano, nel gabinetto dell’accigliato filosofo come nelle mani dell’innocente fanciulla, più agevolmente del giornale?
Se atteso il suo prezzo minimo un buon padre di famiglia col risparmio di un sigaro, un giovinetto studioso col sagrifizio di una ricreazione, un onesto operaio con un bicchiere meno di liquori, può avere in un giornale la sua piccola enciclopedia e la sua piccola biblioteca in famiglia, li biasimate voi dunque?
Se di fronte insomma a questo improvviso, estemporaneo scrivere in mille forme e su mille svariati argomenti; di fronte a questa nuova ed irresistibile potenza della favella umana […] osereste voi, solo voi di niegare la utilità dei giornali? La utilità della stampa?
pp. 131-132
Ai tempi del Duca Amedeo VIII di Savoia, non esisteva la peste della stampa, la peste del giornalismo partigiano, pettegolo, immorale, vigliacco, baldanzoso, venale, corrotto e corruttore dei tempi nostri.
Non esistevano a quei tempi, che quasi quasi chiameremmo felici, questi eterno cospiratori contro la verità, queste bande armate del pugnale della calunnia, del veleno della diffamazione, che penetrano oggi nel santuario della vostra coscienza, s’insinuano tra le vostre domestiche pareti, si assidono sui gradini dei troni, si aggirano fra i più fetidi strati sociali, e adulano i re, ingannano i popoli, insultano le credenze, trascinano nel disonore, nel fango l’innocenza, l’inesperienza, la probità, la giustizia, il merito, la virtù.
No, non esistevano ai tempi di Amedeo VIII di Savoia giornali politici, non si pubblicavano cronache cittadine, non si inventavano notizie e dispacci. Facevano da giornali le corrispondenze, le lettere, i corrieri, i messi, gli amici, i bandi governativi, le notizie ufficiali. Non vi erano quei giornali del mattino, che vi smentiscono le notizie della sera, né quei giornali della sera, che vi smentiscono le notizie del mattino.
pp. 132-133
Tutte le lascivie di quel principe e dei suoi cortigiani, dei suoi adulatori, dei suoi favoriti correvano di bocca in bocca. Eravi chi fedelmente le raccoglieva e fedelmente le scriveva, in fascicoli uniti, in fogli spesso volanti, ma paese per paese, giorno per giorno e spessissimo anche ora per ora.
E sono esse le Cronache, scritte alla buona, senza ricercatezza di stile, spesso piene di sgrammaticature, e quello che è più in loro ammirabile, senza giudizii passionati né di parte, né di persone. Specie di giornali, e giornali veramente, che formavano l’occupazione delle persone colte e agiate di quei tempi, e in modo tutto particolarissimo specialmente dei monaci.