Marcello Cossu
Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875
Violetta del Goceano. Romanzo contemporaneo
Marcello Cossu
p. 53
Via dunque da questa miserabile tua terra, ove, son certo, faccia notte innanzi sera – menami in campagna.
pp. 54-55
Giornata seconda – Ascensione al Castello di Burgos.>> […] << Che farci inallora, se non si ha di meglio; - in chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni. - Ad ogni modo l'ascesa a quella rocca mi tornerà sommamente gradita. Su di quell'altura, io potrò respirare l'aria saluberrima della campagna; potrò contemplare il vasto estupendo panorama del vallone del Goceano; arrogi la solennità del luogo che mi richiamerà alla mente un turbinio di vetuste memorie, dei tempi tristissimi del Medio-evo, nei quali appunto fu inalzata la rocca. Infatti il Castello di Burgos, o del Goceano che si voglia chiamare, figurò assai nella storia medioevale dell'Isola. Era una delle sarde rocche più importanti, e veniva riputata inespugnabile; però anche a lei toccò la stessa sorte che si ebbero le molte altre di Sardegna; fu smantellata e abbandonata al ricovero delle fiere.... Ma fu sorte meritata.
p. 55
Infondo vi sarà la verità; so anch'io, che il mestolo non va senza il manico.
p. 55
Inallora ascoltate: Dicesi, che sotto quelle macerie, in una sala a cui si va per sotterraneo, e il cui accesso è ignoto a tutti, stia un vecchio grinzoso, inchiodato su d'un seggiolone a bracciuli a leggere costantemente su un libraccio nero nero, e con un paio di occhialacci inforcati sul naso! - Notate anche questa circostanza...>> << Scommetto che a quest'ora il bravo vecchio ci ha dei secoli sulla gobba, e che poco per volta andrà a raggiungere l'età di Matusalemme, se pure non la sorpasserà.
pp. 56-57
Narrasi infatti che vi sia sceso un fortunato pastore, al quale un giorno, gironzolando col suo gregge in quei pressi, sia apparso un giovinetto vestito di candidi vestimenti, dal viso splendente, raggiante come quello d'un angelo; - era veramente un angelo – e che dopo avergli parlato di volerlo far ricco, lo esortasse a tenergli dietro. Il pastore non si fece punto pregare e venne con lui, il quale lo menò fin sul culmine del dirupo, ove per via d'incantesimi sollevò un gran masso che chiudeva l'adito al sotterraneo, e in cui entrambi entrarono. Fatto l'oscuro androne, il giovinetto, o meglio l'angelo e il pastore riuscirono nella sala di cui si è detto, e ivi sostarono. Allora il pastorello tutto tremante guardò ove si fosse, e vide quel vecchio seduto a leggere sul libraccio nero, nella positura che lo descrivono, e di più, vide agli angoli della sala, monti di monete d'oro, d'argento e di rame, così luccicanti, che sembravano uscite poco prima dalla zecca. Pertanto l'angelo diè piglio ad una bisaccia, cui il pastorello aveva posto mente tor seco, e la colmò d'ogni serie di quelle monete; quindi la caricò addosso al povero uomo, stordito per la meraviglia e lo mandò pei fatti suoi in quello stesso sotterraneo ond'erano entrati. Si aggiunge che nel congedarlo, l'angelo raccomandasse forte al pastore di non dir verbo a chi che sia di questa sua avventura; ma che il pastore, non che tener per sacro il comandamento, abbia subito propalato l'accaduto, anzi abbia incitato alcuni suoi parenti ed amici a tentare l'impresa fortunosa di scendere nella sala del tesoro, esibendosi egli stesso per scorta. Fatto stette, giunti sul luogo, per quanto frugassero da per tutto, mai poterono scoprire l'accesso al sotterraneo - e bisogno deporne l'idea col crepacuore del disinganno. Il pastorello poi non stette molto, pagò ben cara la pena della sua disobbedienza; assalito da una grande enfiagione a tutto il corpo, morì in pochi giorni fra i più fieri dolori.