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Marcello Cossu

Marcello Cossu

Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, 1875

Elodia e la repubblica sassarese. Romanzo storico

Marcello Cossu

p. 49
Insomma era tal uomo che un Nerone non avrebbe superato in malvagità.

storia

p. 50
Egli che non aveva mai avuto il benchè menomo torto da chi che sia, veder là rintuzzare tutto il suo orgoglio da un orda di popolo che egli considerava domo fino all'abbiettezza, assassinare i suoi bravacci e lui lì lì per essere ucciso barbaramente, lo ripetiamo gli fu cosa orribile.

lingua

pp. 50-51
La sala di cui intendo parlare era vasta assai e magnifica; aveva due ordini di colonne di marmo che sostenevano una volta a basso-rilievi ove sopratutto, spiccava un quadro, rappresentante San Gavino vestito alla romana e assiso su d'un cavallo bianco. I tramezzi della colonnata erano chiusi da ampie cortine di damasco e ogni basamento era ornato da un trofeo di spade, elmi e scudi. Nel fondo della sala s'ergeva un suntuoso baldachino di damasco giallo sormontato da una corona di torri dorate; a destra e sinistra eranvi vasti seggioloni rabescati e due aurei candelabri, che in quel mentre illuminavano tutta la sala.

arte, colori, flora e fauna, lingua, religiosità

pp. 51-52
Il dipinto alludeva all'eroico fatto della principessa Verina figlia di Comita di Torres, la quale, avendo sorpreso dodici mori che a tradimento di notte tempo tentavano appicciar il fuoco agli accampamenti dei Sardi, con maschio ardire ne uccise due e poi corse ad avvertirne i Sardi, che usciti alla lor volta fecero compiuto massacro non solo di quei dodici, ma di ben due mila infedeli. Con ciò la principessa Verina fu pienamente vendicata dell'immatura morte del suo sposo Artemius ucciso poco tempo prima mentre combatteva contro gli stessi mori. - il fatto avvenne circa l'anno mille. Quella sala era la reggia dei dinasti turritani in cui amministravano la giustizia fin da quando la vetusta città di Torres venendo distrutta dalla pirateria saracena, indusse Comita II e la sua sorella Giorgia a trasferire la corte in Ardara. Stavano in quell'ora nella reggia due individui attorno ad una certa bisogna mentre ragionavano con la più bella tranquillità del mondo. Uno di essi era un vecchiotto grinzoso dal naso aquilino, dagli occhi di civetta, di bassa statura - esile esile; l'altro - una donna avvizzita anch'essa dagli anni e più che da questi, dalla lascivia; ma d'un alta taglia e d'una remota beltà che se l'intravedeva nel volto. Ella era Bianca Lanza lombarda così detta nelle storie - e colui, Donno Michele Zanche il sedicente Giudice di Torres.

arte, flora e fauna, geografia, italia ed europa, lingua, modi di dire, storia

p. 51
Nel mezzo campeggiava dipinta una vaga ninfa degna figlia di Marte, la quale scendeva dall'Olimpo, fulminando saette contro un gruppo di mori che le sottostavano carponi e intenti a proditoriamente incendiare alcune tende. Ella aveva gli occhi neri neri e vivaci, la chioma sparsa neghitosamente all'aura, le vesti brune e raccolte in un ampio nodo sulle ginocchia; agli omeri appeso il turcasso - l'arco in mani nell'atto di ferire.

colori, leggende, lingua

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